mercoledì 24 novembre 2010

In viaggio con Amandla (parte nona) Ci siamo incagliati!

Sul Pungo River
20 Giugno. La meta di oggi è Alligator River Bridge. Per raggiungerla navighiamo sul Pungo River, un canale artificiale lungo circa 22 miglia scavato nel 1950 per migliorare l’irrigazione dei terreni agricoli circostanti. La vegetazione intorno è rigogliosa e le poche case costruite sulle sponde permettono alla fauna locale di vivere indisturbata: alzando lo sguardo al cielo, vediamo volare numerose aquile ed aironi. Ma ci sono altre creature un po’ meno simpatiche che ci fanno compagnia da quando abbiamo lasciato Belhaven, si tratta delle “yellow flies” una specie di mosca-zanzara di colore giallo che sembra prediliga la nostra pelle per mordere dolorosamente e provocare un gonfiore ed un prurito più fastidiosi di quelli lasciati dalle zanzare comuni. Il bello è che più cerchiamo di allontanarle e più loro diventano aggressive. Si fanno vedere nelle prime ore del pomeriggio per poi sparire, fortunatamente, durante la notte. Credo abbiano sviluppato
un’abilità  particolare nel posarsi sulla pelle senza farsi sentire. Inoltre sembra che resistano bene all’insetticida, per cui non ci resta che adottare il metodo dell’acchiappamosche, finchè diventano così tante da costringerci ad “indossare” una zanzariera.

Dopo circa 30 miglia e svariate punture, sbuchiamo nell’Alligator River: il nome gli si addice poco, perché più che un fiume si tratta di un grande lago di acqua salmastra che nella parte più stretta raggiunge i 2.600 metri di larghezza. In questo tratto, le yellow flies ci hanno concesso una tregua e possiamo togliere le zanzariere di dosso.
Si è alzato un vento da sud-est e finalmente spegniamo il motore per navigare a vela. Dopo aver percorso 16 miglia avvistiamo Alligator River Bridge. Si tratta di un ponte mobile con apertura a richiesta e Fabio contatta con il VHF la torretta di controllo per chiedere il permesso di accesso. Alle nostre spalle sta sopraggiungendo uno yacht a motore e dalla torretta ci dicono di aspettare il suo arrivo prima di aprire il ponte. Nel frattempo diamo un’occhiata alla carta nautica.
- A sinistra, circa un miglio subito dopo il ponte, c’è un distributore di carburante. Ci conviene fare il pieno di gasolio. Non riesco però a capire qual è la profondità all’entrata del molo: qui c’è scritto che è di due metri e mezzo, mentre la batimetrica sottocosta indica un metro e mezzo! –
- Fammi vedere – Effettivamente sulla carta l’entrata è segnalata da due linee tratteggiate parallele ma la profondità all’interno delle linee non è indicata - Può darsi che abbiano scavato un canale per permettere alle imbarcazioni con maggiore pescaggio di accedere al molo –
- Sembra anche a me che sia così – risponde Fabio – allora andiamo –
Alligator River Bridge
L’apertura del ponte, composta da una piattaforma che ruota su se stessa, si apre lentamente e non appena siamo dalla parte opposta, ci dirigiamo verso la pompa di benzina. In prossimità dell’entrata, Fabio riduce il gas al motore.
- Preferisco andare piano, perché se ci dovessimo aren…-
Non fa in tempo a finire la frase che veniamo spinti in avanti bruscamente. Mi aggrappo al timone per non cadere, mentre Fabio innesta velocemente la marcia indietro; il motore va su di giri, ma Amandla non ne vuole sapere di muoversi: ci siamo incagliati nel fango! La corrente in entrata nel molo ci spinge ancora di più verso il fondale basso mentre la barca inizia ad in traversarsi.
- Presto, rimettila dritta usando l’elica di prua, mentre io calo il tender in acqua e vado a sistemare una cima a terra! –
Il peso della barca e la resistenza della deriva nel fango, rendono la manovra più complicata e cerco di azionare il motorino dell’elica di prua in modo tale da non sforzarlo più del necessario. Amandla reagisce tornando lentamente nella posizione iniziale. Fabio nel frattempo ha fatto passare una cima intorno ad un palo a terra e la sta riportando in barca. Corro a prua per prendere il “doppino” che mi allunga e lo assicuro alla bitta. Per ora abbiamo risolto il problema della corrente, ma resta il fatto che dobbiamo liberarci dalla presa del fango.

Incagliati nel fango
Prima di lasciare Key West, avevamo stipulato un assicurazione sugli arenamenti e gli incagli ed ora Fabio è al telefono con l’operatore e gli sta comunicando la nostra posizione.
- Ha detto che non riusciranno ad essere qui prima di un’ora e mezzo –
- Sono le 18:30, ne verremo fuori con il buio ed intorno a noi i fondali sono troppo bassi e irregolari per cercare di notte un posto dove ancorare! –
- Lo so, ma non vedo altre alternative –
Trascorsi venti minuti, la corrente cambia direzione e la prua della barca comincia ad in traversarsi questa volta dalla parte della cima legata a terra.
- Dobbiamo fissare un’altra cima a “doppino”  sul lato opposto – dico a Fabio
- Non c’è a bordo una cima così lunga da arrivare a terra –
- Se ne uniamo due, forse ce la facciamo –
- Ok, proviamo. Mentre vai a prua a legare le cime io cerco di tenere dritta la barca –
Agisco in fretta, facendo il nodo nel miglior modo possibile. Ho quasi finito e ne sto controllando la resistenza quando Fabio urla dal pozzetto:
- Ci stiamo muovendo, presto libera la cima a terra! –
La marea sta per salire...
Come se stessi aspettando questo momento da tutta la vita, lascio cadere le cime che ho in mano e libero immediatamente un estremo del doppino dalla bitta, iniziando a recuperarlo freneticamente a bordo. Amandla nel frattempo si muove e sento sotto i piedi quella sensazione di galleggiamento che ci aveva abbandonato un’ora prima. Siamo di nuovo liberi e lanciamo all’unisono un grido di esultanza. Il cambio di direzione della corrente era un chiaro indicatore della variazione di marea e nella foga del momento non ci eravamo accorti che stava salendo velocemente. Ringraziamo “Madre Natura” per questo insperato regalo e ci dirigiamo verso est dove avevamo previsto di ancorare in precedenza. Per fortuna è ancora giorno e riusciamo a vedere e schivare con una sorta di gimcana, le numerose boe di segnalazione delle gabbie per la cattura dei granchi, sparse dappertutto. Ci fermiamo a un centinaio di metri dalla costa in una baia riparata e buttiamo l’ancora. Siamo entrambi sfiniti e mentre Fabio telefona all’operatore per annullare la chiamata di soccorso, mi sdraio in coperta e chiudo gli occhi. Dopo alcuni istanti, sento il caratteristico rumore dello sbuffo dei delfini provenire da breve distanza; mi sollevo e vedo intorno alla barca decine di questi splendidi mammiferi che entrano ed escono dall’acqua mostrando i loro dorsi. Evidentemente a quest’ora si riuniscono per mangiare i granchi che, per via delle esche usate per catturarli, abbondano sui fondali. Sono così vicini che riesco quasi a toccarli: la loro compagnia è rilassante e mi rimetto giù ascoltandoli felice. Per cena prepariamo salsicce e bistecche di maiale alla griglia, bagnate da uno spumante per festeggiare la ritrovata libertà.


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