mercoledì 2 marzo 2011

Kangaroo Island. Calamari per cena

Kangaroo Island si trova a quarantacinque minuti di traghetto da Cape Jervis, che a sua volta dista circa cento chilometri da Adelaide, ariosa città all’estremità meridionale dell’Australia: praticamente dall’altra parte del mondo! Con Antonella, la mia compagna di viaggio, siamo venuti fin qui per verificare se quello che si dice di quest’isola sia vero. Viene descritta come un posto selvaggio, ma accogliente, dove koala, canguri, pinguini, echidna e foche convivono con il rischio di “urtarsi” tra di loro vista l’abbondanza delle specie. Gli animali e la natura hanno sempre esercitato un certo fascino su di noi, ecco perché nel nostro viaggio alla scoperta dell’Australia meridionale, Kangaroo Island doveva essere una tappa obbligata.
Siamo nel mese di Dicembre e a sud dell’equatore dovrebbe essere estate. Uso il condizionale perché inspiegabilmente la temperatura è di circa quindici gradi e sembra che quest’anno la primavera sia capricciosa e non voglia cedere il passo all’estate. Naturalmente quando si parla di caldo a queste latitudini, ci si riferisce a temperature che oscillano intorno ai 25°C, visto che l’Antartico è a poco più di tremila chilometri di distanza.
Hog Bay
Nel primo pomeriggio, arriviamo a Penneshaw e scendiamo dal traghetto della Sealink infreddoliti e “shakerati” dal moto ondoso  incontrato durante la traversata. La nota positiva è che veniamo accolti dal sole, che ci regala un bel panorama sulla spiaggia di Hog Bay, dimora dei pinguini minori australiani, i quali però rientrano nelle loro tane soltanto all’imbrunire, dopo essere stati tutto il giorno in mare aperto a pescare, per cui dobbiamo rinunciare a ricevere il loro benvenuto. Ma c’è tempo per gli incontri! Passeremo infatti i prossimi cinque giorni a Kangaroo Island.
Penneshaw è una tranquilla cittadina di trecento anime che sembra prendere vita solo negli istanti in cui salpano ed attraccano i traghetti. Dissolta la “folla” di turisti arrivati sull’isola, restiamo da soli a scattare fotografie sul promontorio che domina l’oceano, quando ci viene in mente che non abbiamo pranzato e che la nostra preziosa guida “tascabile” (un tomo di 1.300 pagine della Lonely Planet dal peso di circa un chilo!) consiglia di assaggiare il fish and chips cucinato al Fish, un locale a poca distanza dal porto, dove sembra si mangi il pesce più buono dell’isola. Con l’acquolina in bocca, e la cartina dell’isola in mano, ci mettiamo alla ricerca del decantato locale.
“Ma dov’è?” rivolgendomi ad Antonella “Io non vedo nessun locale e soprattutto non sento nessun profumo di pesce fritto!”
“Eppure la guida indica che si trova qui” risponde lei.
“Eccolo. Ma è chiuso!” Un cartello con la scritta “Siamo usciti a pescare il pesce per voi” campeggia desolante sulla vetrina del locale.
“Sai che ti dico? Nonostante tutto, quest’isola inizia a piacermi!”
Settanta chilometri ci separano da Parndana, dove abbiamo affittato l’appartamentino in cui alloggeremo nei prossimi giorni, per cui decidiamo di metterci in marcia, rimandando le libagioni a più tardi. Il nostro senso dell’avventura ci ha fatto desistere dal noleggiare un navigatore satellitare convinti che le cartine stradali potessero ampiamente sostituirlo: non fate come noi, un GPS in Australia non solo è utile, ma a volte può rivelarsi fondamentale! Fortunatamente le strade di Kangaroo Island sono poche e facilmente riconoscibili sulla mappa. Le arterie principali sono asfaltate, mentre per raggiungere le spiagge e i vari luoghi di interesse, si devono percorrere strade sterrate di terra rossa che vengono spianate regolarmente da trattori cingolati, a scapito delle sospensioni dell’automobile e… delle nostre schiene!

Parndana si trova più o meno al centro di Kangaroo Island. L’abbiamo scelta pensando che potesse essere un punto strategico, visto che la distanza da un estremo all’altro dell’isola è di circa centoquaranta chilometri. Arriviamo in paese dopo un’ora e mezza e ad accoglierci sul posto c’è…il silenzio! Si ha l’impressione che gli abitanti l’abbiano abbandonata di colpo per chissà quale misterioso motivo. Percorriamo le strade deserte alla ricerca del lodge senza riuscire a capire dove possa essere.
“Torna indietro, dovrebbe trovarsi sulla strada principale!” dice Antonella.
Si, ma qual è la strada principale? Qui le vie sembrano tutte uguali. In più un pappagallo cacatua in cima ad un eucaliptus sta gracchiando rumorosamente da quando siamo arrivati e sembra voglia dirci:”Non da quella parte, non vedete che è la direzione sbagliata!”
“Fermati!” esulta Antonella “C’è uno market aperto; entriamo a chiedere informazioni.”
Scendo trepidante dalla macchina, incredulo che in questa desolazione ci sia qualcuno disposto a tenere un’attività aperta.
“Salve, sapresti dirmi dov’è il Ficifolia Lodge?” chiedo ad un ragazzo che sprizza serenità e pacatezza da tutti i pori.
E’ con questa serenità e pacatezza che mi risponde: “Se ti volti, lo trovi proprio di fronte a te, dall’altra parte della strada!”
Resto li’ fermo e imbarazzato per qualche secondo: vorrei dirgli che siamo stanchi o che siamo nuovi di qui, ma l’unica cosa che mi viene in mente è di prendere un cestino e fare un po’ di spesa, prima che anche il ragazzo pacato e gentile si dissolva nel nulla come gli altri.

Il Ficifolia Lodge è composto da quattro appartamenti di cui uno indipendente e i restanti a schiera. Oltrepasso il cancello e percorrendo un piccolo viale, parcheggio la macchina sotto un portico. Cosa si fa in genere quando si arriva in questi posti? Naturalmente si cerca il proprietario o chi per lui per dirgli “Salve, siamo arrivati!” Il problema è che il lodge è più deserto del paese che lo ospita e di tornare dal ragazzo pacato a chiedere aiuto non è il caso! Mentre sto pensando cosa fare, Antonella ci toglie dall’impasse, dicendo:
“Guarda, c’è un cartello affisso sul vetro di quella finestra con il tuo nome.”
Mi avvicino e leggo che la proprietaria ci saluta, la nostra camera è questa, la porta è aperta e le chiavi sono sul tavolo entrando a destra… Eh si, quest’isola mi piace sempre di più!
“Che carino!” Sono queste le prime parole pronunciate da Antonella, appena entrati. Nel soggiorno c’è un divano, il televisore lcd, il tavolo con sopra le chiavi e un angolo cottura attrezzato di tutto quello che serve per cucinare e mangiare. Sulla sinistra una cameretta contiene due letti a castello, adiacente a questa c’è la camera con letto matrimoniale, piumino e…termocoperta! In fondo a destra il bagno con box doccia. Il tutto arredato con gusto e avvolto da un buon profumo di “pulito”. Caspita che accoglienza! E pensare che l’avevo definito “appartamentino”.
Il mattino dopo il cielo è sereno e la temperatura è incredibilmente salita a venti gradi!
“ Che ne dici se facciamo un giro a Kingscote e poi andiamo in spiaggia ad Emu Bay?” propongo ad Antonella.
“Ottima idea!”.
Prepariamo velocemente la colazione, qualche sandwiches per pranzare in spiaggia e siamo pronti a partire per il capoluogo dell’isola. Fa un certo effetto incontrare lungo la strada numerosi animali morti: canguri, wallaby, opossum e quant’altro che restano vittime delle automobili soprattutto durante la notte. Guidare piano su queste strade è d’obbligo sia per il bene degli animali che per il nostro. Una recente statistica dice che buona parte degli incidenti automobilistici mortali in Australia sono dovuti a sbandamenti provocati per evitare gli animali fermi sulla carreggiata.
Con un occhio attento ai bordi della strada, mi sto godendo il panorama, quando Antonella grida:
“Laggiù ci sono dei canguri, guarda come sono grandi!”
Mi fermo e scesi dalla macchina andiamo lentamente verso di loro. Stanno brucando l’erba e nonostante ci abbiano visto, sembrano più interessati a mangiare che alla nostra presenza. I canguri sono rinomati per l’abilità nel saper dare calci e pugni, per cui ricordo ad Antonella di non avvicinarsi troppo e… di non offenderli per nessun motivo! Ogni tanto alzano la testa per osservarci e poi riprendono a mangiare. Sono alti circa un metro e settanta ed hanno il pelo rosso-fulvo: credo che siamo di fronte ad una delle specie più grandi di canguro australiano.
Dopo aver scattato almeno cinquanta foto ai nostri amici, riprendiamo la strada per Kingscote. La guida “tascabile” definisce la città “sonnolenta”. Chiamarla città è un eufemismo visto che conta 1.500 abitanti, mentre l’aggettivo “sonnolenta” le si adatta perfettamente. Dappertutto regnano una pace ed una tranquillità poco comuni. Persino le automobili qui sembrano più silenziose! Gli unici rumori rilevanti, sono dovuti al cinguettio dei pappagalli multicolore che affollano gli alberi. Kingscote affaccia su una baia rivolta ad est in cui le acque spesso calme, ospitano ad un paio di chilometri più a nord, una colonia di pinguini che come dicevo all’inizio, si fanno vedere solo dopo il tramonto. Non ci sono spiagge invitanti e sembra che i residenti preferiscano andare ad Emu Bay per fare il bagno. Ed è quello che facciamo anche noi terminata la visita della città.
“Dai, lumaca, sbrigati che il mare ci aspetta!”
Parcheggiata la macchina in uno slargo a pochi metri dall’accesso alla spiaggia, ho impiegato qualche secondo in più rispetto a Superman per cambiarmi ed indossare il costume da bagno. Da qui si intravede la sabbia chiara e un’acqua azzurra, calma e trasparente. Senza contare che il termometro della nostra auto segna 25°C!

Emu Bay
Arrivati in spiaggia lo spettacolo è ancora più bello: un'immensa distesa di sabbia lunga cinque chilometri è praticamente tutta per noi visto che contiamo solo altre sei persone sparse qua e là e una piccola barca sull’acqua.
Stendiamo i teli da mare nel primo posto che capita e, come attratto da una forza superiore, vado verso la riva mentre Antonella decide di sdraiarsi al sole.
Appena tocco l’acqua, faccio un salto indietro. L’impatto con il mare gelido colpisce i piedi e le caviglie come se centinaia di aghi mi avessero trafitto contemporaneamente.
“Com’è l’acqua?” chiede Antonella.
“Adesso capisco perché ci sono i pinguini da queste parti!” le rispondo di rimando.
Possibile che mi trovo su una delle poche spiagge australiane in cui si può fare una nuotata in santa pace e devo restare all’asciutto? Senza perdermi d’animo, decido allora di riscaldarmi facendo una corsa sulla riva e provare ad entrare nuovamente in acqua. Percorro cinquecento metri quando arrivo all’altezza della barchetta sull’acqua: a bordo ci sono una signora di circa cinquant’anni ed una ragazza che, a poca distanza dalla riva, stanno pescando con la lenza. Ci scambiamo un saluto e riprendo a correre tornando indietro.
La spiaggia scorre a sinistra, il mare è alla mia destra, i pinguini non si vedono e l’acqua è troppo… bellaaaaaaaaaaah! Prima che il cervello realizzi cos’è successo, sono in acqua che sguazzo convulsamente. Penso che le sei persone sulla spiaggia si siano voltate all’unisono, chiedendosi chi possa essere così pazzo da buttarsi in questo mare gelido e appena arriva alla mente questa ipotesi, cerco di ricompormi facendo finta di nuotare placidamente.
Mentre sono impegnato ad imitare goffamente una foca, passa la barca con la signora e la ragazza che, tra lo stupito e il divertito, salutano nuovamente proseguendo per qualche metro prima di approdare sul bagnasciuga.
Non è buffo?
Resomi conto che il colore della pelle sta cambiando dal rosa al viola, esco dall’acqua e corro ad avvolgermi nell’asciugamano e mentre sto tornando di nuovo “rosa”, vedo una mezza dozzina di pellicani che stanno atterrando davanti alla barca delle due donne. Non so se avete presente come sono i pellicani australiani; a me ricordano quelli disegnati nei fumetti di Walt Disney: sono alti circa un metro e mezzo, hanno zampe palmate di colore blu, il corpo paffuto ricoperto da un piumaggio bianco, le ali bianco-nere, un grosso becco rosa e gli occhi contornati da un cerchio giallo. Insomma sono buffi e adorabili!
“Guarda quei pellicani, Antonella! Andiamo a fare qualche foto.”
Mentre mi avvicino, vedo la ragazza lanciare loro qualcosa che mangiano voracemente.
Il pranzo è pronto!
“Ciao, che gli dai da mangiare?” le chiedo.
“Sono le interiora dei calamari che abbiamo pescato questa mattina.”
“Siete andate là fuori nell’oceano con la vostra barca a pescare i calamari!?” domando stupito.
“No, li abbiamo pescati dove ci hai viste prima, a pochi metri dalla riva.”
Nel frattempo si avvicina anche la madre che ha in mano un calamaro di circa venti centimetri.
“Vedi, sono questi” dice sorridente.
“Avete pescato tutti questi calamari ad un metro e mezzo di profondità?”
“Si, a dire il vero veniamo spesso qui a prenderli. Abitiamo in quella casa laggiù” e mi indica una bellissima costruzione in legno che affaccia sulla spiaggia. “I pellicani ormai sanno che gli portiamo da mangiare e ogni volta che torniamo dalla pesca, ci aspettano.”
“Tieni, dagli da mangiare anche tu” dice la signora, offrendomi la sacca contenente l’inchiostro, che attira subito l’attenzione di un paio di questi simpatici uccelli. Naturalmente non si avvicinano più di tanto, per cui glielo lancio a poca distanza. Con un colpo rapido di ali, uno dei due si butta sul boccone ingoiandolo in un istante. Si abituano presto alla nostra presenza e si dispongono in semi-cerchio in attesa di ricevere il resto del “pranzo”.
“Avete già assaggiato i calamari a Kangaroo Island?” ci chiede la signora.
“Non ancora.”
“Allora dovete farlo! Vi assicuro che sono squisiti. Se passate tra mezz’ora a casa nostra, ve ne do qualcuno pulito e pronto da cucinare”.
Sono senza parole. Ci conosciamo da dieci minuti e ci invitano a casa per regalarci dei calamari appena pescati! Avevo letto da qualche parte che gli australiani sono persone gentili e affabili, ma non pensavo lo fossero fino a questo punto. E’ un’offerta che non possiamo rifiutare, per cui le promettiamo di rivederci più tardi.
“E’ permesso?” chiedo bussando sul vetro. Una grande finestra a tre ante scorrevoli separa il terrazzo dal salone, concedendo alla casa una luminosità ed una vista sul mare magnifici.
“Prego entrate, ve li ho messi in frigo avvolti nella carta: se andate direttamente a casa non dovrebbero rovinarsi.”
Mi porge un pacchetto contenente sei grossi calamari puliti lavati e tagliati! Protesto educatamente dicendole che sono troppi, ma non vuole sentire ragioni.
“Sapete come cucinarli?”
“Pensavamo di prepararli con una ricetta italiana…” e scoppiano a ridere entrambe. Una delle cose nostrane più rinomate in Australia è la cucina.
Remarkable Rock
Restiamo ancora qualche minuto a parlare con loro di quanto siano fortunate ad abitare in questo posto e di cosa dobbiamo assolutamente visitare durante la permanenza sull’isola. Con un ultimo ringraziamento, le salutiamo sperando di poterci incontrare di nuovo, chissà forse un giorno…
All’inizio ho definito Kangaroo Island un luogo “selvaggio ma accogliente”. Sono due aggettivi che le calzano a pennello, ma c’è un altro termine per descriverla: “speciale!.”
Speciale è il clima di quest’isola che nonostante la vicinanza con il Polo Sud, si trova in una posizione geografica privilegiata, per cui non fa mai troppo freddo né troppo caldo. Speciali sono le numerose attrazioni naturali, come Remarkable Rock, un gruppo di rocce enormi a picco sul mare, formatesi oltre 500 milioni di anni fa in seguito ad un’eruzione vulcanica sottomarina e che il vento, le piogge e il mare hanno scolpito nel tempo creando forme bizzarre; oppure Cape du Couedic, che ospita una colonia di otarie orsine intente a giocare con le onde imponenti provenienti dall’Antartico, o ancora Seal Bay dove è possibile osservare da vicino i leoni marini durante le loro attività quotidiane.
Snellings Beach
Speciale è il miele che abbiamo assaggiato alla Clifford’s Honey Farm: le api che lo producono derivano da una specie proveniente dalla Liguria; credetemi, è impossibile uscire dalla farm senza aver acquistato almeno un barattolo di questo miele unico al mondo. Speciali sono le persone che abbiamo incontrato sull’isola, non ultime la signora con sua figlia, che ci hanno permesso di conoscere quel lato dell'isola che altrimenti non avremmo mai visto. E i calamari? Eh si, sono davvero speciali anche quelli: hanno il sapore del mare di Kangaroo Island!









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